Terni, estate 2014. Le acciaierie Thyssen Krupp annunciano il licenziamento
di 550 operai, lasciati a casa dopo innumerevoli anni di servizio. Luigi è
un uomo anziano, prossimo alla pensione, che si trova catapultato nel bel
mezzo di una guerra ai vertici, combattuta in strada, alle riunioni
sindacali, attraverso presidi continuati fuori dai cancelli dell'azienda,
alle manifestazioni. Un pugno di ferro tra gli operai e il colosso
d'acciaio, quaranta giorni di sciopero ininterrotti, presidi alle
ambasciate, in strada e fin sotto il parlamento europeo, per arrivare a un
accordo che sa di presa in giro: 80.000 euro lordi di buonuscita. A tutti
gli effetti un escamotage in grado di far calmare le acque, giusto per dare
il tempo allo scandalo di assopirsi, lasciando che l'opinione pubblica
dimentichi la sfortunata provincia e la sua gente. In quest'ambiente di
tumulti, Luigi, il sessantenne di sani principi, decide di non costringere
qualcun altro, magari con famiglia al seguito, a lasciare il lavoro. Lui
infatti è rimasto solo. Una moglie scomparsa anni prima e una figlia ormai
adulta cui lascia quei pochi soldi di liquidazione, lo spingono a rifiutare
la guerra a uno Stato disinteressato alla tutela delle fasce più deboli
della popolazione. Deciso ad allontanare il male di politiche economiche che
l'hanno reso vittima, l'uomo si rifugia sulle montagne tra Leonessa, Polino,
a Colle Bertone. Stanco di lottare, disamorato e avvilito, ripensa a quel
patto: accordo a garanzia di qualcun altro. Vive il dramma in solitudine,
Luigi, con la neve tutt'intorno, in rumoroso silenzio. Una serenità rincorsa
e afferrata tra le montagne, ritrovata nei piccoli gesti, dopo anni di lotta
impotente.
Il
regista Andrea Sbarretti ricostruisce il dissenso con sguardo lucido, in un
film che denuncia la precarietà dei numerosi operai dopo la chiusura di un
intero reparto della fabbrica ternana. Mescolando immagini documentarie alla
scrittura solida di un plot che appare più come un canovaccio, la ruvidezza
della realtà sovrasta la messa in scena in una presa d'atto risolutiva del
mondo gretto e meschino entro cui la misura umana è profondamente
schiacciata nella morsa di vertici insondabili. Una voce genuina, che fa
dell'immagine bruciata caratteristica preponderante per una formalità che
gratta via ogni sorta di patina del cinema di finzione, per rilanciare la
riflessione e la schiettezza di chi rifiuta qualsiasi condizionamento
sociale, per dar voce a quei margini di cui troppo spesso si esasperano le
condizioni. Un'esistenza senza pretese che, ciononostante, è sradicata dalle
multinazionali, dalle decisioni nette e inoppugnabili, immutabili perché
intangibili. La grande industria che si accartoccia sul territorio ruvido
del lavoro manuale, fagocitando quella stessa umanità di cui si è sempre
nutrita.